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Thailandia:

Mae Hong Son

viaggi in Thailandia
Per giungere fin qui da Chiang Mai, ilcammino é piuttosto lungo e la via non é certo una autostrada ma lo spettacolo é incantevole in un alternarsi di cascate e cascatelle, grotte e picchi rocciosi che emergono da un intrico di vegetazione selvaggia che l’uomo pare non poter domare, fino a che non si giunge a Mae Hong Son, un tempo conosciuta come la “cittá dei contrabbandieri”, per la sua prossimitá al confine birmano. Non é che ora questa attivitá piú o meno legale sia del tutto scomparsa ma il viaggiatore puó muoversi senza timore né difficoltá concedendosi un esaltante trekking nella giungla a dorso di elefante o una entusiasmante discesa in piroga del fiume Pai, attraverso luoghi abitati solo da quelle etnie della montagna che non conoscono i confini tracciati dagli Stati e si muovono, confondendosi le une alle altre, alla ricerca di angoli di foresta dove impiantare le loro primitive culture: sono Shan, Lawa, H’Mong, Lahu e Padaung.
Donne “giraffa”Sul finire degli anni '70 comparve un manifesto promozionale dell’Ente di Stato per il turismo della Birmania che raffigurava una quasi surreale fanciulla con polpacci e avanbracci coperti di anelli d’oro e che stupiva per il lunghissimo collo avvolto anch’esso da anelli dorati. Accanto a quel dolcissimo volto era scritto Padaung Belle, la “Reginetta Padaung”. Fu forse questa la prima occasione in cui molti Occidentali sentirono parlare dei Padaung, un piccolo gruppo mon-khmer che vive nello Stato Kayah e ai confini Nord-occidentali della Thailandia. Per le donne padaung qualcuno ha usato l’irriverente epiteto di “donne giraffa”, ma nel loro caso non si tratta di una malformazione genetica. Quel lungo collo, che forse avrebbe sconcertato anche Modigliani, é conseguenza della antica pratica di mettere al collo delle bimbe degli anelli in rame e ottone. Anno dopo anno se ne aggiungono altri che comprimono verso il basso le clavicole e la musolatura cosí che se si togliessero gli anelli la testa resterebbe priva di sostegno e la donna morirebbe per soffocamento. C’é chi dice che tale pratica abbia preso origine dalla necessitá di difendersi dai morsi delle tigri, altri sostengono che imponendo questa deformazione alle loro donne, i Padaung pensavano di preservarle dalle razzie dei cacciatori di schiavi. Ogni ipotesi é valida ma non si devono neppure escludere dei canoni estetici, per noi, discutibili: basta pensare al fatto che per secoli i Cinesi hanno deformato i piedi delle loro donne per renderli simili a “boccioli di fiore di loto
”.
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